Un progetto di solidarietà: una scuola nel deserto

Eugenio C.—homify Eugenio C.—homify
La Scuole nel Deserto - Abu Hindi primary school, ARCò Architettura & Cooperazione ARCò Architettura & Cooperazione Commercial spaces
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Vediamo sempre l’architettura come destinata solo al settore privato o pubblico, ma così facendo ci dimentichiamo di un altro possibile ruolo che può competere a questo campo: parliamo di architettura solidale. Oggi andiamo in un luogo senza pace, ancora soggetto a dispute e contese, cioè i Territorio Occupati, nella cosiddetta zona C, che pur essendo per gli accordi internazionali territorio palestinese, viene in realtà gestito dalle forze militari israeliane. Il campo beduino Wadi Abu Hindi ha visto nascere nel 2010 un progetto che significa opportunità e, quindi, istruzione per centinaia di bambini di varie fasce d’età.

In questo lavoro, la sostenibilità è stata adoperata in senso sociale, grazie a tecniche avanzate e studi orientati allo specifico contesto d’intervento.

Introduzione

La comunità beduina di Abu Hindi è composta da due campi principali che si trovano sud di Gerusalemme e nella zona est della Cisgiordania, per una popolazione totale di 2.700 persone. Abu Hindi è un’area semi desertica, vicina ad torrente stagionale. In questo contesto complesso, che vede in particolare la vicina colonia di Qedar combattere per il definitivo allontanamento di tutte le comunità beduine, sorge una vera e propria Scuola nel Deserto.

L'intervento di bioarchitettura nasce dal lavoro congiunto di Vento di Terra Onlus e Arcò Architettura Cooperazione che hanno unito le loro competenze che spaziano dall'ambito educativo e formativo, alla bioarchitettura e alla cooperazione internazionale. Questa collaborazione proficua ha portato alla realizzazione di 3 scuole in Palestina, dal 2009 al 2012. L’auto-costruzione da parte degli abitanti ha inoltre sviluppato una consapevolezza e una sapienza progettuale all'interno del villaggio, oltre ad un risparmio cospicuo in termini economici. Il costo complessivo è stato di 45.000 €, mentre i tempi di costruzione non sono andati oltre i 60 giorni. Il progetto in questione si caratterizza anche per l'impiego di fonti di energia rinnovabile e l’uso dei principi passivi dell’architettura bioclimatica di ultima generazione.

Il contesto difficile

Il contesto d’intervento era molto difficile in quanto a valle sorgeva una delle maggiori discariche della zona, utilizzata sia dalla Municipalità di Gerusalemme, sia dalla colonia israeliana in prossimità del campo. Non essendoci un vero e proprio sistema fognario, ogni servizio igienico era collegato ad una pozza di liquami a cielo aperto che rendeva l’aria malsana e irrespirabile , specialmente durante l’estate. Anche l’approvvigionamento dell’acqua era difficoltoso, con una sola canna in gomma dal diametro di 2 cm, soggetta a numerose rotture e infiltrazioni. Situazione simile per l’elettricità: in questo caso era utilizzato un generatore a gasolio che tuttavia non riusciva a soddisfare il fabbisogno energetico del villaggio.

Il progetto Architettonico

Il progetto della Scuola Nel Deserto è stato vincolato dalle prescrizioni imposte dalle autorità israeliane che hanno vietato qualsiasi variazione o ampliamento del vecchio edificio. Per questo motivo, prima di iniziare fisicamente i lavori, è stato compito della Onlus Vento di Terra quello di creare una rete di relazioni al fine d’instaurare un rapporto di fiducia con le comunità locali. L'aspetto tecnico e architettonico è stato curato dal gruppo Arcò che ha promosso l’occupazione locale con un training sulle tecnologie costruttive in corso d’opera.

L’obiettivo principale è stato quello di adeguare la struttura a nuovi standard moderni dal punto di vista climatico ed energetico. L’intervento è riuscito a creare un edificio con una ventilazione naturale efficace e un isolamento termico e acustico adeguato.  In una seconda fase, si è provveduto a installare un sistema per la raccolta dell’acqua piovana e un impianto di pannelli fotovoltaici per sostituire il vecchio e obsoleto generatore a gasolio.

Come si vede dalle immagini, il tetto è stato sollevato e inclinato, in modo da agevolare il passaggio e la circolazione dell’aria. Le aperture sono richiudibili a seconda delle necessità tramite lastre in plexiglass. Anche la struttura del tetto è stata ripensata partendo dai materiali: le lastre metalliche sono state sostituite a favore di pannelli a più strati volti a migliorare l’isolamento dell’edificio.

Per pareti esterne dalle caratteristiche adeguate a questo contesto climatico particolare, è stata utilizzata la tecnica del “pisè”. Questo modo di costruire consente di avere un muro multistrato (in questo caso con 34 cm di spessore) che comprendere calce, cannucce di bambù, argilla, paglia, alluminio zincato e, per finire, un’intercapedine d’aria. Per i pavimenti si è invece utilizzato il solo legno.

Il risultato finale

Ecco in foto una classe completa. È importante sapere che i beduini hanno una grande cultura del riciclaggio, infatti, tutte le loro case sono realizzati in lamiera e legno, materiali raccolti nei cantieri o semplicemente nelle discariche, ma che purtroppo non sono adatti per estati calde e inverni rigidi. Il progetto finito ha creato un ambiente con una differenza percepita di ben 10°C di temperatura, in relazione alla stagione, a favore degli ambienti interni.

Come abbiamo visto, quest’opera architettonica ha unito in una sola costruzione la sostenibilità ambientale, il risparmio energetico e il coinvolgimento degli abitanti del villaggio per un’architettura solidale che è stata completata con il piccolo budget a disposizione. Un esempio di architettura che dovrebbe essere seguito non soltanto in aree difficili con contesti politicamente instabili, ma anche in altre zone geografiche, perché porta con sé numerosi vantaggi su più fronti.

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